Il sabbionaro

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  1. Pizzangrillo
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    C'era una volta il sabbionaro.
    Era un ambulante che girava i paesi e le case sparse nella campagna vicentina.
    Nelle strade bianche di campagna sotto la canicola estiva immersa nella foschia o avvolte nella nebbia autunnale che dissolve le distanze, nelle gelide mattinate d'inverno assolate e ricoperte di brina o nei tiepidi pomeriggi prmaverili, potevi incrociare il sabbionaro che s'incamminava recando per la cavezza un somaro che trainava un carretto con le sponde basse riempito di saldame.
    Quando raggiungeva una contrada....Leeeh.....Sabbionaro-donne, sabbionaroooo!.... e dai portoni uscivano bambini e donne con le pignatte.
    L'unità di misura del sabbionaro era un barattolo che riempiva di saldame...un soldo, tre barattoli, e spesso ne aggiungeva un altro mezzo
    - Sei un bravo bambino e tua mamma è una brava donna, dille che ti ho dato mezzo barattolo in omaggio -.
    E dopo aver messo gli spiccioli in un fazzoletto annodato e sprofondato in una tasca dei pantaloni....Aaahhh-tiraaa!.....Fino alla prossima contrada.
    I sabbionari si rifornivano di merce direttamente in miniera.
    Ce ne'erano da varie parti tra i Lessini Orientali e i Colli Berici, famose per la produttività erano quelle di Sant'Urbano, sui colli di Montecchio Maggiore.
    Chiamarle miniere è un po' azzardato.
    Sono delle gallerie che si aprono sul fianco nord di un colle soprastante l'abitato di Sant'Urbano, tuttora visitabili con molta cautela: più che miniere sarebbe più corretto chiamarle “trappole per topi”.
    Consistono di una galleria principale con rami laterali, ma non presentano una planimetria rispondente a requisiti ingegneristici, è uno scavo in cui un uomo procede inginocchiato.
    In qualche punto puoi camminare in piedi, a schiena curva.
    Il materiale che alloggia i tunnel, e che è lo stesso oggetto di coltivazione, è una roccia arenacea scarsamente consolidata, friabile, pesante, di colore variabile tra il bianco sporco e il nocciola chiaro, con possibili striature rossastre di ossido ferrico, ruvida al tatto, che per compressione si sbriciola in una sabbia fina, uniforme, di elevate proprietà abrasive.
    Passando una mano sulla parete e frizionando il pollice e l'indice, senti una delicata azione di rimozione meccanica delle impurità come una pasta lavamani finissima.
    Questi sassi ridotti in polvere danno il saldame, una sabbia silicea a grana finissima, che una volta aveva un fiorente mercato come abrasivo detergente di oggetti in leghe di rame, sia fonderie che “calieri” e paioli casalinghi; i calieri di rame dove si cucinava la polenta col manico agganciato alla catena annerita del focolare, erano puliti col saldame, che si usava umettato di acido muriatico, o aggiunto alla saponata o all'acqua solamente.
    Le fonderie di bronzo lo usavano per lisciare i manufatti: infatti, le fonderie di Vicenza sono tutte nella zona ovest, verso la strada di Montecchio Maggiore.
    Questo materiale all'epoca doveva essere molto richiesto, perchè a tutt'oggi sono rimasti molti ingressi delle gallerie di estrazione, parte delle quali ancora agibili, con molta cautela, ed io stesso ne ho visitate alcune poche settimane fa, e ci dovrò tornare altre volte la prossima primavera, per un progetto di ricerca.
    Il materiale di risulta non utilizzabile veniva accatastato a formare un muretto a secco di consolidamento, perchè il rischio di crollo della volta doveva essere ben presente, specialmente in prossimità degli slarghi delle diramazioni.
    I minatori lavoravano esclusivamente di piccone, mazza e scalpello, e doveva essere particolarmente faticoso, perchè non c'era la possibilità di operare stando in piedi e usare il piccone dall'alto in basso, ma solo di fianco, e il materiale che si sbriciolava all'impatto, penetrava ovunque sotto i vestiti, negli occhi e si sospendeva lieve nell'aria che viene respirata.
    Esplosivi non se ne potevano usare, per il rischio di crollo.
    Nonostante la friabilità e la scarsa coesione dell'arenaria, i sassi estratti erano molto pesanti, ed hanno una bassa capacità termica, dunque in estate trasmettono calore e in inverno si ghiaccia come in un congelatore.
    Queste erano le sabbionare e questo era il saldame.
    Queste gallerie hanno una caratteristica che le accomuna: si aprono sotto banchi di argilla plastica.
    La sequenza comune è (dal basso in alto): argilla bentonitica, arenarie da saldame, arenarie calcaree, calcari fini nulliporici.
    Si va da detriti subaerei a detriti di ambienti sommersi; nella sequenza argilla-arenarie-calcari, un mare antico ha invaso delle terre emerse, sommergendole.
    L'arco temporale spazia dall'Oligocene al Miocene inferiore, dal piano cronologico Chattiano (28 – 23 milioni di anni fa), all'Aquitaniano (23 – 20 milioni).
    All'inizio di quei tempi la piana vicentina era occupata da una bassa laguna con un cordone di isolotti atollari con acque limpide, calde, ossigenate, profonde al massimo una cinquantina di metri.
    Un cordone di isolotti corallini che si prolungava da una terraferma lontana come un'avanguardia lagunare, separava due tratti di mare di profondità differente: ad oriente la terraferma e questo arcipelago allungato delimitavano una laguna del diametro di una trentina di chilometri, ad occidente del quale si estendeva il mare aperto con una piana pelagica profonda alcune centinaia di metri.
    Qui la vita pullulava tra estese colonie coralline, ed i bracci di mare tra questi isolotti erano dei passaggi che mettevano in comunicazione due ambienti marini completamente differenti: dalla profondità ad ovest predatori risalivano per incursioni in laguna, e vi riscendevano col ventre pieno.
    Questo era lo spaccato di vita nel primo Oligocene, nel piano cronologico denominato Rupeliano (34 – 28 milioni di anni).
    Tutto tranquillo all'apparenza, se non fosse per alcuni isolotti sparsi ed alcuni tratti di mare in cui esplodevano violente eruzioni passeggere.
    Si trattava di bocche eruttive effimere, i cui prodotti di emissione non erano in grado di creare degli edifici vulcanici permanenti, o perchè si estinguevano nell'arco di una meterora, o perchè il materiale eruttato veniva disperso dal moto ondoso e l'edificio smantellato.
    Sono piuttosto dei camini di esplosione (diatrèmi) alimentati da un canale tubolare (neck) in cui ad ogni pulso una violenta ondata di gas caldi strappava brecce che prioettava alte e ricadevano parte all'interno del camino stesso (brecce intradiatremiche), parte all'esterno, formando un rilievo anulare (brecce extradiatremiche).
    Questi corpi vulcanici interessavano solo localmente, e la vita nell'atollo vicentino dopo una tempesta vulcanica, proseguiva nascondendo le ferite coperte da una coltre di depositi sopra i quali la fauna e la flora si moltiplicava fino alla prossima pioggia di fuoco.
    Ma tutto deve avere una fine, e l'atollo vicentino, esaurita la spinta che aveva generato un'esplosione di vita in tutte le sue manifestazioni, gradualmente si impoverì fino a rasentare l'estinzione.
    Cosa stava succedendo? Ogni ambiente è un organismo pulsante che attraversa fasi vitali come un essere vivente: nascita, giovinezza, maturità, senescenza, morte.
    Un sistema atollare si viene a formare quando le condizioni lo consentono: un basso fondale subsidente, acque calde ed ossigenate, vicinanza con una terraferma, correnti marine ottimali che garantiscono il ricambio ed una ampia piana tidale.
    Fin tanto che permangono queste condizioni si espande aumentando la sua potenza colonizzatrice, e quando le condizioni vengono a cessare, il sistema si atrofizza, entra in fase di regressione e si estingue.
    La vita segue semplicemente il suo corso: da un sistema si passa ad un altro, come una ruota che gira.
    Queste barriere coralline costituiranno la Calcarenite di Castelgomberto, dalle cui porzioni di retroscogliera si aprono le cave di Pietra di Vicenza.
    Cessando il regime di maree, il moto ondoso, le correnti, lo sprofondamento lento ma incessante, le colonie coralline cessano di costruire corpi calcarei su livelli verticali, e l'insabbiamento progressivo porta allo sviluppo orizzontale, il che, in aggiunta all'immissione in superficie di ingenti masse di brecce esplosive e colate, causa la regressione marina, e dove prima c'era una estesa barriera corallina, ora un mare “fiacco” e con moto ondoso sempre più debole forma bacini salmastri in cui i coralli non possono più attecchire.
    Questi, emersi e trasformati in suoli, lisciviati dalle tempeste, costituiscono i banchi di argille da cava sottostanti le sabbionare: banchi limitati perchè limitate erano le effusioni basaltiche e le coperture di breccie diatremiche.
    Questo è l'ambiente di formazione delle argille bentonitiche.
    Il grande atollo rupeliano ormai è un immenso cimitero.
    Siamo passati dal Rupeliano al Chattiano.
    Non è che non ci sia la vita, ce n'è ancora, e molta, ma un abisso biologico separa l'atollo rupeliano dagli acquitrini salmastri parzialmente emersi del Chattiano.
    La forte evaporazione di bacini salmastri causa una ingente salinità e gli organismi biologici si devono specializzare per sopravvivere nel nuovo ambiente.
    Le paludi saline semi-emerse del Chattiano sono il cimitero dell'atollo del Rupeliano.
    Dove prima c'erano acque cristalline popolate di coralli multicolori ora la luce abbacinante illumina distese di fanghi a vista d'occhio, e lembi emersi spazzati da venti carichi di sabbie quarzose tali da oscurare il sole.
    Appena i venti accennavano a placarsi, la sabbia sollevata e trasportata, cadeva al suolo facendo regredire ancor di più il mare dagli acquitrini melmosi, e alzando i rilievi emersi.
    Questo ambiente durò centinaia di migliaia di anni, durante i quali il mare regrediva dalle terre emergenti e trasgrediva nuovamente su di esse, così per alcuni milioni di anni si ebbero ora acquitrini salmastri, ora lande spazzate da venti e bruciate dal sole, ora nuovamente un mare melmoso, per formare di nuovo un deposito di sabbie che coprivano livellando la morfologia del paesaggio.
    Questo è l'ambiente di formazione delle arenarie da saldame.
    La grande stagione dell'atollo lagunare vicentino era un ricordo del passato, in corso di seppellimento con metri di detriti sotto i quali avveniva la fossilizzazione, per quello prima ho definito il Chattiano come il cimitero del Rupeliano.
    Ma il tempo procede inesorabile, e alla fine il mare nuovamente riprese il sopravvento, e qui entriamo nell'Aquitaniano.
    E' cambiata era, siamo appena usciti dall'Oligocene e adesso entriamo nel Miocene.
    Abbiamo ancora un ambiente poco ospitale, mari costieri bassi, acque calde, ma fortemente perturbate da eventi meteorici e vulcanici, con emissioni esplosive in lontananza.
    La vita continua a sviluppare, sfornando generazioni su generazioni di esseri marini sia isolati che raggruppati in banchi e colonie, e tante tante conchiglie, così numerose da depositarsi in cordoni lungo la battigia.
    Ci sono ancora tempeste di sabbia e violente manifestazioni di moto ondoso e pioggie, ma forse di intensità minore delle tempeste di sabbia chattiane che riempivano piane semisommerse dal fondo melmoso e salino.
    Nel nuovo ambiente le sabbie di trasporto eolico sono depositate e frammischiate con depositi marini ricchissimi di residui di conchiglie e gusci calcarei di organismi di ambiente neritico.
    Questo è l'ambiente di formazione delle arenarie calcaree.
    Adesso siamo nell'Aquitaniano ed il mare continua incessante a depositare calcari organogeni e localmente si hanno nuove colonizzazioni a coralli e altri organismi costruttori.
    Non abbiamo delle comunità tali da creare estese colonie in grado di costruire delle terre merse, ma degli accumuli su scala locale di deposizioni calcaree finissime.
    Questo è l'ambiente di formazione dei calcari fini nulliporici.
    Ci separano ancora 20 milioni di anni, nel corso dei quali il fondale si abbassò ancora fino a raggiungere profondità dell'ordine di poche centinaia di metri, ambiente di formazione di quelle che vengono denominate Argille di Monte Costi.
    Passano i milioni di anni, almeno 10, e quello che era un alto fondale, e prima ancora un basso fondale, e prima ancora un acquitrino, e prima ancora parte di un atollo, e prima ancora..........., ora, più o meno 5 milioni di anni fa, aveva l'aspetto di una piana prosciugata salina, ad intervalli rioccupata dal mare (crisi di salinità del Messianiano).
    Questo in pianura è a circa un centinaio di metri sotto le zolle che calpestate.
    Il tempo passa e il mare si riappropria delle terre che aveva lasciato, in un susseguirsi di immersione ed emersione.
    E cosa è successo ai sabbioni? Sono stati compressi e parzialmente cementati da soluzioni circolanti ricche in carbonati, unendo i granelli di sabbia silicea a formare il saldame, uno strato a banchi tra le argille bentonitiche e le arenarie calcaree che a loro volta costituiscono il tetto dei calcari fini nulliporici.
    A banchi perchè le tempeste colpivano ora qui, ora là, e dove passavano lasciavano una spessa coltre di sabbie che venivano rimaneggiate, dislocate e nuovamente rimesse in posto da ingressioni marine e nuove tempeste.
    Questa sequenza di saldame e arenarie calcaree intercalata tra le argille e i calcari nulliporici, è talmente caratteristica dell'area berica e lessinica vicentina da essere denominata:
    Formazione delle Arenarie di Sant'Urbano, o semplicemente Arenarie di Sant'Urbano.E lo strato inferiore delle Arenarie di Sant'Urbano costituisce il Saldame che il nostro sabbionaro all'inizio di questo racconto, vendeva facendo l'ambulante tra le contrade della campagna vicentina, illuminando la strada per sé ed il suo somaro che tirava il carretto col suo tesoro di sabbia, oscillando una lampada a carburo col braccio stanco, mentre con l'altro tiene la cavezza del somaro.
    Nei cimiteri di paese del Vicentino li potete trovare ormai, il sabbionaro e le donne che davano ai bambini la monetina presa dal vaso nella credenza ed una pignatta vuota, da riportare a casa col saldame per pulire il caliero della polenta.
    Se avete letto fin qui, adesso sapete quale storia nobile e drammatica vi racconta questo sasso di ruvida arenaria, e per il quale tanti uomini e ragazzi hanno lavorato di piccone e di mazzetta accucciati in cunicoli bassi illuminati dal guizzo della fiammella del carburo che muove le ombre continuamente, in alcuni dei quali si entra strisciando, decine di metri all'interno dei colli che sovrastano la frazione di Sant'Urbano di Montecchio Maggiore.
    Adesso i minatori-contadini, i sabbionari, le donne e i bambini, stanno tutti nei cimiteri dei paesi.
    O meglio, lì stanno le loro spoglie.
    Loro stanno da un'altra parte.



    Così doveva apparire, più o meno, una tempesta di sabbia sugli acquitrini salmastri di Sant'Urbano durante il Chattiano.
    I depositi arenacei di questo tipo hanno il nome di depositi loessici, ed il loess è il materiale depositato, una arenaria che per diagenesi dà origine ad un suolo loessico. Nel nostro caso non si è formato un suolo, essendo il deposito successivamente sommerso.

    Ecco, il saldame è ancora lì nelle gallerie, alcuni pezzi sono qui sul mio tavolo, ed i suoi attori passati per questa scena, sono nei camposanti dei paesi vicentini.
    Che Dio li abbia in gloria!





     
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  2. mammocchiona
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    A Pizzangrì, ma sei tu che hai scritto questo testo? Se sì complimenti perché è molto avvincente malgrado i termini scientifici. Lo abbiamo studiato fin dalle elementari che eoni fa al posto della pianura padana c'era il mare, ma son cose che si sanno e non si focalizzano... è commovente invece immaginare questi coralli iridescenti e questo mare che pian piano retrocede permettendo lo sviluppo di altre vite. Una gran bella storia, grazie per aver conosciuto nuove cose!
     
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  3. Pizzangrillo
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    Il testo è quel che si suol dire “farina del mio sacco”.
    Non scopiazzo testi in giro e li faccio miei, anche se c'è chi ha fatto questo con testi miei.
    Per dovere, dico che per la storia del sabbionaro mi sono ispirato ad un brano di un libro di Antonio Balsemin, ma è molto liberamente tratto da quel testo, e solo in minima parte, questione di poche righe e dal contenuto molto generico.
    E' mai esistito un sabbionaro che non trasportava la merce col carretto?
    E con cosa lo tirava, a mano?
    Ecco, dunque mi sono ispirato al testo di Balsemin per “reinventare” un sabbionaro di fine 800 che faceva l'ambulante col carretto ed il somaro, come TUTTI i sabbionari dell'epoca.
    In quanto alla parte geologica, viene da uno studio molto approfondito e ti dico che è più veritiera questa attribuzione cronologica di quella presentata nella carta geologica d'Italia foglio 49 ad opera del Bosellini.
    Bosellini è molto bravo sulle Dolomiti, ma nei Lessini Orientali ha sbagliato attribuendo il passaggio dal Chattiano all'Aquitaniano al pavimento della Formazione di Sant'Urbano, mentre una ricerca approfondita più recente di Mietto colloca questo passaggio TRA la Formazione di Sant'Urbano, che pertanto inizia nel Chattiano e finisce nell'Aquitaniano con uno sfalsamento cronologico di alcuni milioni di anni.
    Le Sabbionare saranno l'oggetto di un progetto di ricerca storico-minerario-geologica a cui si darà avvio la prossima primavera, mi è stato proposto questo lavoro proprio la sera dell'antivigilia di Natale, ad una cena.
    Me lo aspettavo, infatti lo scorso autunno ho visionato il sito e mi sono introdotto in tre gallerie, non percorrendole interamente, ma in gran parte, e ho raccolto dei campioni.
    E a primavera, parte il progetto di cui adesso sono in fase di “input”, acquisizione dati.
    Speriamo che non si limiti alle classiche “pacche sulla spalla”, perchè a forza di pacche ho la spalla dolorante.
     
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  4. moisan
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    Bellissimo il testo e la storia!! non solo non sapevo dell'esistenza dei sabbionari, del saldame, ecc.. ma nemmeno di tutte le ere geologiche che hai nominato...
     
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  5. mariano rossi
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    Anch'io non avevo mai sentito nominare questo cascame..e si che se veniva usato per pulire i paioli di rame lo avranno usato anche i miei genitori...

    comunque complimenti per il bel racconto di un mondo a me sconosciuto...
     
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  6. Agrigiardiniere
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    Bel testo ed interessante. Anche per me tutto assolutamente nuovo. Per la pulizia dei paioli in rame nella mia zona, ho un ricordo nebbioso di sabbai fine di torrente che veniva - non sfregata - ma fatta scorrere in tondo con un pò d'acqua nel fondo del paiolo...
     
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  7. pilusmax
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    molto interessante davvero
    non avevo mai pensato a cave/miniere del genere
    pensavo che la sabbia si cavasse dai fiumi , anche quella per uso abrasivo.
    E non sapevo che ci fosse qualcuno che ne facesse una distribuzione "ambulante" e che dalla esclusiva vendita al dettaglio di un prodotto così "povero" ci si potesse ricavare di che vivere.
    Bella la prosa, avvincente come un romanzo di avventure: complimenti, continua a scivere, non lasciare inaridire la vena .... (io lo feci ed ancor me ne dolgo)
     
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  8. mammocchiona
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    Pilus, mi piacerebbe leggere qualcosa dei tuoi scritti. Pensi sia possibile?
     
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  9. pilusmax
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    CITAZIONE (mammocchiona @ 31/12/2011, 19:30) 
    Pilus, mi piacerebbe leggere qualcosa dei tuoi scritti. Pensi sia possibile?

    Ho smesso di scrivere quando avevo meno di 25 anni... un secolo fa..... ed ho ripreso in mano la "penna" , pardon, la "tastiera" solo all'inizio di quest'anno quando ho cominciato a frequentare qualche forum di giardinaggio.
    Puoi andare a vedere sul mio blog, dove ho raccolto alcune cose scritte qua e là da quando ho ricominciato a mettere nero su bianco riflessioni e pensieri.
    chiedo scusa in anticipo se resterai delusa

     
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  10. mammocchiona
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    Ma che delusa??? Carinissimo il tuo blog! (ma davvero ti sei aggrappato al rametto di rovo a mo' di liana??)
     
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  11. pilusmax
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    CITAZIONE (mammocchiona @ 2/1/2012, 16:22) 
    Ma che delusa??? Carinissimo il tuo blog! (ma davvero ti sei aggrappato al rametto di rovo a mo' di liana??)

    e meno male che c'era il rovo e che avevo i guanti (leggeri ma meglio che niente)
    se andavo giù di faccia sui paletti sparsi nell'orto mi poteva andare peggio di un braccio stirato ed una spalla lussata
    ed il bello è che il rovo ha tenuto allo strappo lasciandomi in regalo una decina di spine nella mano destra (uno c'è ancora....., giusto per ricordo....)
     
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10 replies since 25/12/2011, 18:14   526 views
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